Sommario: 1. Il calcolo come fine; 2. Il calcolo come mezzo; 3. Il calcolo come altro da sé.
1. Il calcolo come fine.
Sin dalla preistoria l’uomo ha cercato di inventare un sistema capace di rappresentare e memorizzare le quantità numeriche .
La ricerca di un “sistema di numerazione”, ossia di un sistema costituito da convenzioni (simboli) di rappresentazione numerica e da regole per compiere delle operazioni, è una costante presente in tutte le civiltà antiche e moderne.
Nel corso della sua evoluzione l’uomo ha saputo inventare e scoprire dei dispositivi pratici per rappresentare molti numeri con pochi simboli convenzionali.
Per ottenere ciò fu necessario predeterminare una scala convenzionale di simboli definita “base”.
Le civiltà che si sono susseguite nel tempo hanno utilizzato diverse basi: 2 , 3, 4, 5 , 6, 8, 10 , 12, 16, 20 , 40 e 60 .
Come testimoniano numerosi reperti archeologici una fase di estremo rilievo nell’ambito dell’evoluzione dei sistemi di calcolo è stata quella legata all’utilizzo del corpo umano nella sua complessità di arti ed articolazioni. Grazie all’utilizzo di questo particolare strumento si riuscirono, probabilmente, ad incrementare le potenzialità insite nelle operazioni di calcolo come, ad esempio, il passaggio dalla conta per comparazione a quella per successione.
In altri termini, se nella prima ipotesi (conta per comparazione) il contare non è altro che “associare un oggetto con un altro” (Es. 1 sasso = 1 bue) con l’utilizzo delle parti del corpo umano non omogenee e non facilmente associabili alla “res (cosa)” oggetto del computo, si assiste ad una sempre maggiore determinazione “astratta” dei numeri (conta per successione) dove l’indicazione del punto di arrivo (ad es. un gomito) rappresenta già da sé la quantità convenzionalmente predeterminata senza bisogno di alcun altro riferimento cognitivo (es. 1 gomito = 5 dita della mano + 1 polso + 1 gomito = 7).
Nonostante tutte le iniziative e scoperte la mano, anche per ragioni antropomorfiche, si affermò come lo strumento/sistema/convenzione dominante.
Il numero delle dita ha, infatti, condizionato la scelta della base decimale come opzione dominante nella rappresentazione dei numeri.
Già prima dei Greci , i Sumeri e le popolazioni indoeuropee, utilizzarono la numerazione in base 10.
Di seguito un rapido excursus, organizzato cronologicamente, in merito ai principali strumenti utilizzati come ausilio per il calcolo.
Nel 1937 in Cecoslovacchia è stato rinvenuto un osso di lupo risalente probabilmente al 30.000 a. C. recante delle incisioni molto particolari. Si tratta di 55 intaccature disposte su due serie (25 e 30) a loro volta distribuite in gruppi da 5 chiara testimonianza dell’uso di tale oggetto quale ausilio per il calcolo e la sua memorizzazione
La civiltà sumerica utilizzava per i predetti fini delle tavolette dove vi è traccia di operazioni commerciali e dei relativi calcoli (4.000-1200 a.C.).
Di estrema rilevanza, per la diffusione e la sua longevità, è l’abaco, un antico strumento utilizzato per effettuare calcoli. Le apparizioni più risalenti nel tempo possono datarsi attorno all’anno 2000 a. C. in Cina.
L’abaco venne ampiamente utilizzato anche dai Greci e dai Romani.
Un altro strumento di calcolo di particolare interesse è quello che venne utilizzato presso gli Incas: i Quipu (o khipu).
Questi strumenti permettevano di rappresentare dati numerici ed altri tipi di informazioni attraverso delle cordicelle di diversa fattura e colore (1200/1500 a. C.). In altre parole, i supporti mnemonici erano costituiti da corde di cotone colorate con la presenza di vari nodi lungo la superficie che rappresentavano i numeri o le altre quantità da ricordare.
Nella storia degli strumenti per il calcolo un ruolo importante è rivestito dai bastoncini di Nepero (detti anche virgulae numeratrices oppure ossa di Nepero). L’invenzione di tale strumento è attribuita a John Napier ed è collocabile storicamente intorno al 1617.
Sono state realizzate varie versioni dei bastoncini di Nepero, nella versione più semplice lo strumento era costituito da stecche (spesso di avorio) sui quali erano incisi i primi multipli di un numero, con le decine e le unità divise da una barra obliqua, facendo scorrere le stesse l’una sull’altra era possibile compiere operazioni di calcolo istantaneamente.
William Oughtred, matematico inglese, inventò, basandosi su quanto teorizzato da Nepero sui logaritmi, il regolo calcolatore nel 1632.
Successivamente alle scoperte ed intuizioni dei citati studiosi il filosofo e matematico francese Blaise Pascal costruì la prima vera calcolatrice (modernamente intesa) che da lui prese il nome di Pascalina.
Questa apparecchiatura era in grado di compiere operazioni di somma e sottrazione.
Sul solco tracciato Pascal, Leibniz (1673) progettò una macchina capace di moltiplicare e dividere.
Leibniz, inoltre, cercò – tra i primi – di costruire una calcolatrice su base binaria ossia basata sul sistema numerico binario .
Questa intuizione non ebbe molto successo e fu dimenticata per molto tempo fino a quando George Boole nell’Ottocento non riprese i concetti di Leibniz e gettò le basi per il funzionamento dei calcolatori elettronici.
2. Il calcolo come mezzo.
È riconosciuta a Leibniz l’intuizione, successivamente sviluppata da altri studiosi e filosofi, di poter trasformare il ragionamento in calcolo segnando così idealmente il passaggio dal periodo in cui il fine delle macchine era il calcolo all’epoca in cui le stesse diventano un mezzo per ottenere qualcosa di diverso dal puro calcolo aritmetico.
Antesignano di tali strumenti è la macchina di Anticitera (o meccanismo di Antikythera) il più antico calcolatore meccanico conosciuto databile al 150-100 a .C.
Si tratta di un meccanismo costituito da un complesso intreccio di ruote dentate con incise delle iscrizioni la cui funzione doveva essere quella di calcolare il sorgere del sole, le fasi lunari, i movimenti dei pianeti, gli equinozi.
Il meccanismo è attualmente conservato nella collezione di bronzi del Museo archeologico nazionale di Atene, assieme alla sua ricostruzione.
La rilevanza di questo meccanismo risiede, ai fini del presente discorso, nel fatto che il calcolo non è più considerato come il fine stesso dell’operazione meccanica ma come il mezzo per ottenere delle informazioni astronomiche.
Per questo motivo, il meccanismo di Anticitera deve essere considerato come il precursore dell’astrolabio piuttosto che l’antenato della calcolatrice.
Tralasciando la macchina di Anticitera (esempio di out of place artifacts “manufatti fuori dal tempo”), è necessario soffermarsi sull’evoluzione delle macchine capaci di produrre in automazione res diverse dal semplice calcolo in sé.
Risalgono all’800 i primi macchinari progettati e sviluppati sulla base del codice binario (0,1) muniti di schede perforate.
Gli scienziati in questa fase storica si dedicarono in modo specifico allo sviluppo delle possibili applicazioni del predetto metodo teorizzato.
Un frutto prezioso delle predette ricerche è il telaio di Jacquard.
Si tratta di un tipo di telaio per tessitura che può eseguire disegni anche complessi in modalità “automatica”. Se è vero che il telaio meccanico esisteva già da diversi anni spetta, tuttavia, al francese Joseph-Marie Jacquard la realizzazione (1801) di un telaio destinato a rivoluzionare la produzione tessile del XIX secolo. Ad un normale telaio Jacquard aggiunse un altro apparato che permetteva la realizzazione automatica della tela consentendo di produrre tessuti, con trame anche molto complesse in tempi rapidi e con il lavoro di un solo tessitore.
Come si può immaginare l’invenzione di Jacquard non venne accolta con entusiasmo da parte dei tessitori terrorizzati dal fatto di perdere il posto di lavoro sostituiti da una macchina.
Di notevole rilevanza è l’apporto dato Charles Babbage, Professore di matematica all’università di Cambridge, il quale indirizzo i suoi studi e le sue ricerche alla progettazione e realizzazione di due macchine calcolatrici, una differenziale e l’altra analitica.
Durante il dispendioso, in termini di risorse economiche e fisiche, sviluppo del suo primo progetto, la Macchina differenziale, Babbage volle dedicarsi alla progettazione di un’altra macchina a vocazione “generica”.
Si trattava, in sintesi, del progetto di una macchina non limitata al solo calcolo matematico ma altresì capace di elaborare dei “ragionamenti” (c.d. Macchina analitica).
La base teorica della macchina analitica ripropone il meccanismo logico con cui operano i moderni computer. Babbage teorizzò, infatti, un sistema di input, un sistema per elaborare i dati (attraverso un dispositivo chiamato il mulino) ed un sistema di output.
La macchina di Babbage avrebbe dovuto essere alimentata da un motore a vapore ed avere dimensioni estremamente grandi (lunga più di 30 metri per 10 metri di profondità dotata di 5.000 ruote dentate, 200 accumulatori di dati composti di 25 ruote collegate tra loro).
L’input e il programma sarebbero stati inseriti nella macchina attraverso delle schede perforate (sul modello del telaio di Jacquard) mentre i dati di uscita (output) sarebbero stati prodotti da uno stampatore e da un arco in grado di tracciare curve.
La parte elaboratrice “il mulino” avrebbe potuto compiere le quattro operazioni aritmetiche. Il 1833, grazie al progetto di Babbage, può essere definito l’anno del primo calcolatore programmabile dotato di un’unità di memoria ed un’unità di calcolo. La macchina analitica non venne mai integralmente realizzata ma le idee e i principi posti alla base del suo progetto dureranno nel tempo e produrranno fecondi frutti.
La macchina di Babbage rappresenta un’evoluzione rispetto al passato in quanto attraverso il calcolo la stessa riesce ad elaborate ciò per cui si programma.
3. Il calcolo come altro da sé.
L’ultima parte dell’evoluzione delle macchine realizzate dall’uomo come ausilio nelle operazioni di calcolo e di memorizzazione dei numeri è quella che può essere definita per comodità espositiva: la fase in cui il calcolo diviene altro da sé.
In tale prospettiva la prima macchina a rappresentare questa nuova filosofia è quella di Hollerith realizzata nel 1890. Alle origini di tale invenzione vi è un’esigenza estremamente pratica e specifica: l’elaborazione del censimento americano del 1890.
Il problema venne affrontato da uno studioso di statistica Herman Hollerith che adattò la scheda perforata alle esigenze del censimento.
Su ogni scheda vennero registrati i dati di un cittadino e grazie alla macchina inventata e realizzata per l’occasione il censimento si realizzò in tempi rapidissimi. Hollerith fondò proprio in quel periodo una società che prese il nome di IBM (International Business Machine).
Con l’avvento delle guerre e l’esigenza di cifrare (nascondere) il contenuto delle informazioni trasmesse nascono le macchine di cifratura elettromeccaniche. Una delle più note è Enigma (1920) utilizzata dalle forze armate tedesche.
La diffusione di Enigma è legata alla sua “presunta” indecifrabilità ed alla facilità d’uso.
Il calcolo si astrae per divenire esso stesso mezzo del messaggio e “contenitore del contenuto informativo “ veicolato.
Per rispondere ad Enigma ed all’esigenza del controspionaggio polacco ed inglese venne realizzata la “Bomba” (1932 progetto / 1938 realizzazione), una macchina costituita da più moduli ciascuno dei quali consisteva in uno scaffale di ferro largo 2 m. circa e alto 90 cm.
La Bomba utilizzava utilizzava esclusivamente il sistema c.d. di “forza bruta” per decifrare il messaggio e non era in alcun modo riprogrammabile se non attraverso una modifica del meccanismo.
Le idee di Babbage, come fuoco sotto la cenere, ritornarono di attualità grazie ad Howard Aiken che nel 1937, ad Harvard, assieme ad IBM, riprese il progetto della macchina analitica utilizzando il relè come modulo di base. Nasce cosìMARK1.
Nel 1939 Konrad Zuse si dedicò alla realizzazione dell Z1, calcolatore elettromeccanico basato sul sistema binario e programmabili. Le memorie erano nei primi modelli di natura meccanica mentre nei modelli successivi (Z2 e Z3) si basarono sui relè .
Seguirono nel 1943 il Colossus britannico , il primo computer in grado di decifrare, forzandone i codici di cifratura, i messaggi inviati fra Hitler e i suoi capi di stato maggiore.
La successiva tappa evolutiva è segnata dalla realizzazione dell’ENIAC (1946) (Electronic Numerical Integrator And Computer) che viene spesso citato come il primo computer elettronico della storia (tuttavia lo Z3 venne realizzato 1941).
Le dimensioni di tale apparato sono impressionanti paragonandoli a quelle dei moderni computer: 30 m. di lunghezza; 3 m. di altezza; 1 m. larghezza; 27 tonnellate di peso; 167 mq di superficie occupata; 18.000 valvole termoioniche, collegate da 500.000 contatti saldati manualmente, 1.500 relé e dissipava un calore di circa 200 Kilowatt.
Segue, nella storia evolutiva del computer, l’UNIVAC il primo calcolatore elettronico capace di conservare il programma all’interno della memoria.
A questi se ne aggiunsero altri dei quali si cita semplicemente il nome e/o l’acronimo: Edsac (dotato di caratteri alfabetici), Whirlwind, Sage, Sabew, Cdc3600, Pdp-1, Pdp-8, Olivetti P6040 E P6060, Apple II, Xerox Alto, Xerox Star, Pc Ibm, Macintosh, Amiga…