Pubblicato il 13/01/2017 – N. 00011/2017 REG.PROV.COLL. – N. 00562/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
Sezione Staccata di Reggio Calabria
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 562 del 2010 proposto da:
XX, rappresentato e difeso dagli avv.ti ….., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Reggio Calabria, via….;
contro
Comune di Reggio di Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. ….., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in …..
per l’accertamento della illegittimità del procedimento di esproprio avviato dal Comune di Reggio Calabria e per il risarcimento del danno patito.
Visti il ricorso ed i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Reggio di Calabria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 novembre 2016 la dott. Donatella Testini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.1. Il ricorrente è proprietario di un fondo sito in ……, acquistato a titolo di successione ereditaria da …, e riportato nel catasto terreni al foglio di mappa …., particelle …..
Il fondo è stato interessato dal procedimento espropriativo avviato dal Comune di Reggio Calabria per la realizzazione delle “Opere di adeguamento e potenziamento Aeroporto dello Stretto – progetto integrativo”, giusta progetto approvato, anche ai fini della dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità dei lavori, con delibere di Giunta nn…..del … 1998 e …dell’… 1999.
Con decreto n. …..del 20 luglio 1999, è stata disposta l’occupazione d’urgenza, fra l’altro, del fondo in oggetto ed è stato fissato in cinque anni il termine per l’emanazione del decreto di esproprio (19 luglio 2004).
All’occupazione dell’area, pur essendo state realizzate le opere, non ha fatto seguito l’adozione del decreto di esproprio.
1.2. Con il presente mezzo di tutela, il ricorrente chiede che, a seguito dell’accertamento della illegittimità della procedura di esproprio, l’amministrazione venga condannata:
– alla restituzione dell’immobile, previa riduzione in pristino, ed al risarcimento del danno derivante dall’occupazione illegittima;
– al risarcimento del danno del danno corrispondente al valore venale dei beni, in caso di mancata restituzione ai sensi dell’allora vigente art. 43, III comma, del D.P.R. n. 327/2001.
Si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata, eccependo, in sede di costituzione formale, la prescrizione del diritto dedotto in giudizio.
Con memoria del 13 novembre 2015, il Comune ha contestato l’estensione della superficie occupata dalla p.a., così come descritta dal ricorrente sulla base di perizia versata in atti.
Al fine di individuare esattamente il bene immobile oggetto di apprensione da parte della p.a., la Sezione, con ordinanza n. 88 del 26 gennaio 2016, ha disposto sul punto consulenza tecnica d’ufficio, depositata in data 27 luglio 2016.
Con successiva memoria dell’11 ottobre 2016, il ricorrente ha chiesto integrarsi la relazione del consulente tecnico in punto di valutazione dei tre lotti residui di cui alla particella 163, stima e valutazione delle parti dell’immobile occupato, ivi compreso il valore delle parti divenute inutilizzabili e “calcolando l’indennizzo dovuto per la costituzione di servitù, oltre all’indennizzo per l’occupazione temporanea dal 1999 al 2004”.
La causa viene ritenuta per la decisione alla pubblica udienza del 23 novembre 2016.
2. La causa è matura per la decisione, senza che possa darsi ingresso alla richiesta di supplemento istruttorio avanzata dal ricorrente, in quanto volto a fornire di prova di circostanze di fatto poste a fondamento di domande nuove, inammissibili poiché contenute nella memoria del 12 ottobre 2016, non notificata alla controparte (domanda di costituzione di servitù su alcune delle particelle per cui è causa e di condanna alla corresponsione dell’indennità per il periodo di legittima occupazione).
2.1. Sostiene genericamente la difesa comunale che il diritto al risarcimento del danno si sia prescritto.
L’eccezione è destituita di fondamento.
E’ ormai consolidato l’indirizzo, più volte ribadito anche da questo Tribunale (cfr., ex multis, sent. 19 settembre 2016, n. 921), secondo il quale il comportamento tenuto dalla p.a., che abbia emesso una valida dichiarazione di pubblica utilità ed un legittimo decreto di occupazione di urgenza, senza, tuttavia, emanare il provvedimento definitivo di esproprio nei termini previsti dalla legge, debba configurarsi quale illecito permanente e non già quale illecito istantaneo ad effetti permanenti.
Da quanto esposto, discende l’infondatezza dell’eccezione in discorso: nel vigore del comportamento illecito della p.a., infatti, non decorre alcuna prescrizione, giacché in tal caso manca l’effetto traslativo della proprietà, per l’assenza del provvedimento di esproprio, sicché il soggetto privato del possesso può agire avverso l’Ente espropriante, senza dover sottostare al termine quinquennale di prescrizione decorrente dalla trasformazione irreversibile del bene.
2.2. Ciò posto, va rammentato che, come sopra esposto, alla Camera di Consiglio del 17 dicembre 2015, con ordinanza n. 88/2016, è stata disposta la nomina di un Consulente Tecnico d’Ufficio, investendo di tale incombente l’arch. …..
Il C.T.U. come sopra designato è stato, in particolare, chiamato a rispondere ai seguenti quesiti:
“1. Presa visione degli atti e dei luoghi di causa e compiuta ogni indagine strumentale anche mediante accesso ad atti e uffici pubblici, descriva preliminarmente il C.T.U. lo stato attuale dei terreni oggetto delle procedura acquisitiva di cui in causa di proprietà del ricorrente;
2. Accerti, per ciascuna particella di proprietà del ricorrente, come in atti dettagliate, l’esatta consistenza delle aree effettivamente occupate dall’amministrazione espropriante;
3. Accerti su quali terreni di proprietà della ricorrente è stata realizzata l’opera pubblica, con indicazione dell’estensione dei terreni e degli identificativi catastali;
4. Accerti se vi sia stata riconsegna all’originario proprietario di eventuali porzioni di terreno non utilizzate per la realizzazione dell’opera pubblica, ma precedentemente occupate;
5. Accerti, infine, la data di ultimazione dell’opera pubblica con idonea documentazione a supporto”.
Con relazione depositata in data 27 luglio 2016, ai predetti quesiti sono state fornite le seguenti risposte, rispetto alle quali, i consulenti di parte, non hanno svolto osservazioni.
– La particella n. xxx è interamente occupata dall’opera pubblica per mq. 400;
– la particella n. xxxx è parzialmente occupata per mq. 10.623/20.070 e, per l’effetto, risulta suddivisa in tre appezzamenti di difficile accesso e utilizzo;
– la particella n. xxxx è parzialmente occupata per mq. 152/340;
– la particella xxx non è occupata;
– la particella xxx è interamente occupata per mq. 300/300;
– l’opera pubblica è stata ultimata in data 21 aprile 2004;
– non vi è stata riconsegna di aree non utilizzate.
2.3. Sulla scorta di tali risultanze, che il Collegio ritiene di fare proprie in quanto correttamente ed esaustivamente accertate, la causa risulta matura per la decisione.
Il ricorso è fondato nei termini che seguono in quanto perdura l’occupazione dei beni del ricorrente, malgrado siano divenuti inefficaci la dichiarazione di pubblica utilità e il decreto di occupazione d’urgenza, ai quali pacificamente non ha mai fatto seguito il decreto di esproprio.
La scadenza del termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità comporta la sua sopravvenuta inefficacia e la conseguente illiceità del possesso del terreno, a suo tempo acquisito in esecuzione dell’ordinanza di occupazione d’urgenza.
Risulta, dunque, fondata la deduzione con cui il ricorrente ha lamentato che – scaduti gli effetti degli atti del procedimento espropriativo – il possesso del terreno, da parte del Comune, è divenuto sine titulo.
Si deve dunque ora verificare quali siano le conseguenze di tale occupazione sine titulo e quali misure – nel vigente quadro normativo – possano essere chieste al giudice amministrativo, a tutela del diritto di proprietà.
E’ ormai consolidato l’indirizzo, più volte ribadito anche da questo Tribunale (cfr., ex multis, sentenze nn. 1138 del 15 novembre 2016, 921 del 19 settembre 2016 e 316 del 23 marzo 2016), secondo il quale anche l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non fa venir meno l’obbligo della P.A. di restituire al privato il bene appreso illegittimamente.
Deve, infatti, ritenersi superata l’interpretazione che riconnetteva alla costruzione dell’opera pubblica effetti preclusivi e/o limitativi della tutela in forma specifica del privato operata in relazione al diritto comune europeo: tanto è vero che il proprietario del terreno illegittimamente occupato dalla P.A., una volta ottenuta la declaratoria dell’illegittimità dell’occupazione e l’annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente domandare sia la restituzione del fondo, sia la sua riduzione in pristino, ma non anche il relativo risarcimento del danno, dal momento che la proprietà del terreno è rimasta sin dall’origine in capo a lui, cosicché nessun danno si può profilare in riferimento alla sua perdita.
La realizzazione sull’area occupata dell’opera pubblica è un mero fatto e tale resta: la perdita della proprietà da parte del privato e l’acquisto in capo alla P.A. possono conseguire soltanto all’adozione di un provvedimento formale, nel rispetto del principio di legalità e di preminenza del diritto.
In contrario, non può obiettarsi che, laddove parte ricorrente chieda il risarcimento del danno da perdita della proprietà del fondo (per l’irreversibile trasformazione di questo), detta domanda equivalga a manifestazione di volontà abdicativa quanto alla proprietà del fondo illegittimamente occupato, con rinveniente perdita del titolo dominicale in capo alla stessa.
La giurisprudenza, infatti, ha precisato che dal principio, ormai consolidato, per cui la realizzazione di un’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato non è in grado di per sé di determinare il trasferimento della proprietà dell’immobile a favore della P.A., si desume che anche la richiesta di risarcimento formulata dal privato e volta ad ottenere il mero controvalore del fondo, compromesso dall’opera pubblica, quand’anche voglia giungersi ad interpretarla quale manifestazione della volontà di rinunciare alla proprietà del terreno, non vale a determinare in capo al privato la perdita della proprietà di questo, non essendo l’istituto dell’abdicazione del diritto di proprietà considerato istituto rilevante dall’art. 42 bis del D.P.R. n. 327/2001, che disciplina la fattispecie.
L’accertamento giurisdizionale della illegittimità o della mancata conclusione del procedimento espropriativo – per la circostanza che esso non si sia concluso con l’adozione del decreto di esproprio né con l’accordo di cessione – determina dunque il verificarsi dei presupposti fissati dal legislatore per la piena tutela del diritto di proprietà, mediante un provvedimento restitutorio da parte del giudice amministrativo, che può essere impedito (oltre che da un accordo tra le parti) dalla adozione del provvedimento di acquisizione emesso ai sensi dell’art. 42 bis del D.P.R. n. 327/2001.
2.4. Quando il proprietario, a tutela del suo diritto, chiede il risarcimento del danno (con la domanda di restituzione e di riduzione in pristino ovvero per equivalente), il giudice amministrativo deve qualificare la domanda tenendo conto della disciplina sostanziale e processuale posta dal legislatore e deve rilevare quali siano le alternative poste dal legislatore e a cui l’Amministrazione conformare il proprio operato.
Ai sensi dell’art. 42 bis, e in assenza di un accordo, le uniche alternative possibili per l’Amministrazione sono dunque rappresentate:
– dalla restituzione del bene al legittimo proprietario;
– in alternativa, dalla emanazione del provvedimento di acquisizione.
Va rimarcato al riguardo come in ogni caso deve restare impregiudicata l’area della discrezionalità amministrativa.
L’Amministrazione – pur tenuta al ripristino della legalità – resta titolare del potere (“Valutati gli interessi in conflitto”) di scegliere tra la restituzione del bene ovvero l’acquisizione dello stesso ai sensi dell’art. 42 bis.
In altri termini, solo essa (non potendo il giudice amministrativo sovrapporre una propria statuizione) può valutare se, in relazione alle risorse economiche disponibili ed agli interessi da soddisfare, il terreno vada restituito, previa demolizione di quanto costruito, ovvero vada acquisito ai sensi dell’art. 42 bis.
2.5. Ovviamente, una scelta manifestamente irrazionale di non emanare il provvedimento di acquisizione, comportando l’obbligo di demolire le opere realizzate con denaro della collettività, implicherebbe la conseguente responsabilità devoluta alla cognizione della Corte dei Conti, mentre invece l’ordinamento non può che qualificare come secundum ius il provvedimento di acquisizione, che in quanto tale salvaguardi l’opera pubblica ed eviti lo spreco del denaro pubblico.
La responsabilità – di cui i funzionari rispondono innanzi alla Corte dei Conti – non è quella della emanazione del provvedimento di acquisizione (valutato con favore dal sistema, per l’adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto), ma di coloro che hanno fatto sì che si arrivasse all’occupazione del bene altrui, con la costruzione dell’opera, in assenza del valido ed efficace decreto di esproprio.
2.6. La fattispecie caratterizzata dalla illecita perdurante occupazione del fondo su cui sia stata realizzata un’opera pubblica, in altri termini, è sottoposta ad una peculiare disciplina per la quale l’adeguamento dello stato di fatto a quello di diritto si può avere (fermo restando il diritto al risarcimento del danno per il periodo di occupazione sine titulo) con la restituzione dell’area (eventualmente con la demolizione di quanto realizzato) ovvero con l’emanazione del provvedimento di acquisizione e la corresponsione a favore del proprietario di un importo superiore al valore venale del bene, secondo i parametri previsti dall’art. 42 bis del citato testo unico.
3. Nel caso di specie, l’Amministrazione sta possedendo contra legem alcuni dei beni del ricorrente e, segnatamente le particelle ……—-, ad esclusione della particella …… e per l’estensione accertata dal C.T.U.
Gli stessi sono stati modificati a seguito della realizzazione dell’opera pubblica, come parimenti accertato in sede di consulenza tecnica.
L’occupazione legittima del bene – preordinata alla realizzazione dell’opera pubblica – sia scaduta il 19 luglio 2004.
Da tale illiceità della condotta dell’Amministrazione, consegue il suo dovere di applicare i principi di legge al fine di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, nel rispetto delle ragioni proprietarie.
Il Collegio, dunque, dispone che vada restituito l’immobile al proprietario e vada risarcito il danno per l’occupazione contra legem subita dal proprietario da quando l’occupazione è divenuta sine titulo per la mancata conclusione del procedimento espropriativo e sino al momento della restituzione medesima.
Ovviamente, in tal caso questo Tribunale non potrà che trasmettere gli atti alla procura della Corte dei Conti, affinché in quella sede si accertino le responsabilità per il duplice esborso di denaro pubblico (quello servito per realizzare l’opera e quello occorrente per demolirla).
Qualora il Comune deliberi di salvaguardare l’opera realizzata e le finanze pubbliche e di provvedere nel senso di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto mediante l’esercizio del potere previsto dall’art. 42 bis del D.P.R. 327 del 2001, l’indennizzo dovuto dovrà essere liquidato secondo gli indicatori fissati dalla predetta norma, salvo il potere del giudice civile di verificare se l’indennizzo è stato quantificato congruamente (da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. IV, 12 maggio 2016, n. 1910).
4. Per le ragioni che precedono, il Collegio:
– dichiara la illegittima occupazione dei fondi come sopra individuati, a far data dal 19 luglio 2004, posto che da quella data l’occupazione è divenuta sine titulo;
– dispone che – entro il termine di novanta giorni – decorrente dalla notifica della presente sentenza, il funzionario competente del Comune attivi il relativo procedimento (previa comunicazione agli interessati) e poi proceda nel termine di legge alla sua conclusione, con la scelta discrezionale e motivata se emanare l’atto di acquisizione ai sensi dell’art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001, ovvero se disporre la restituzione del fondo al proprietario (previa demolizione di quanto realizzato);
– dispone che, nel caso di acquisizione ex art. 42 bis, sia liquidato in favore di parte ricorrente un importo pari al valore venale del bene “all’attualità”, calcolando gli interessi – come previsto dallo stesso articolo – per il periodo di occupazione sine titulo (fermo restando che, trattandosi di una indennità, per le relative eventuali controversie sussisterà la giurisdizione del giudice civile) e ricomprendendovi anche il deprezzamento delle aree residue di cui alle particelle….. in quanto, “ai sensi degli artt. 40 e 41 della Legge 25 giugno 1865 n. 2359, oggi trasfusi nell’art. 33 del D.P.R. n. 327/2001, il deprezzamento delle aree residue costituisce indennità ordinaria da corrispondere, in quanto non può certo sostenersi che non debba essere ricompresa nell’indennizzo dovuto ex art. 42 bis del T.U. Espropriazione (ché altrimenti argomentando si perverrebbe all’illogica conclusione per cui all’Amministrazione che gode della eccezionale previsione ordinamentale che le consente di “sanare” una illegittimità comunque perpetrata, verrebbe conferito il diritto potestativo di sottrarsi all’obbligo di corrispondere ciò che sarebbe stato certamente dovuto in ipotesi di procedura espropriativa non affetta da vizi)” (in termini, Consiglio di Stato, Sez. IV, 12 maggio 2016, n. 1910);
– dispone che – in mancanza di tale acquisizione – il funzionario disponga la restituzione dell’area al proprietario, previo ripristino dello status quo ante a spese dell’Amministrazione (trasmettendo in tal caso la trasmissione degli atti alla Corte dei Conti, affinché questa valuti se sia stata irragionevolmente disposta la demolizione dell’opera pubblica);
– dispone che, qualora entro il fissato termine di novanta giorni l’Amministrazione disponga la restituzione dell’immobile illegittimamente occupato, essa avvenga, con rimessione in pristino stato del fondo, entro i trenta giorni successivi all’adozione della relativa deliberazione.
5. Il Collegio dispone che il sopra fissato termine di novanta giorni potrà essere prorogato o aumentato nel caso di istanza di una delle parti, ove sussistano giustificati motivi.
Il Collegio si riserva, nella sede e con i poteri propri del giudizio di ottemperanza, di valutare la condotta successivamente tenuta dalle parti ai fini dell’eventuale riconoscimento della risarcibilità dei nuovi danni cagionati dall’ulteriore protrarsi dell’illegittima occupazione e per la trasmissione degli atti alla Procura regionale della Corte dei Conti per l’accertamento di eventuali profili di responsabilità contabile, qualora si giunga – nel caso di inerzia dell’Amministrazione – alla proposizione di un ricorso per l’ottemperanza.
6. Il Collegio ritiene di fare applicazione dell’art. 34, comma 1, lettera e), del codice del processo amministrativo, per il quale il giudice amministrativo, nel caso di accoglimento del ricorso, “anche in sede di cognizione” può disporre la nomina di un commissario ad acta, “con effetto dalla scadenza di un termine assegnato per l’ottemperanza”.
A tal fine, il Collegio fin da ora nomina, nella qualità di commissario ad acta, il Prefetto di Reggio Calabria (con facoltà, in capo a quest’ultimo, di demandare lo svolgimento delle relative funzioni a personale dell’Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria dal medesimo designato) e dispone che, a cura della Segreteria del Tribunale, copia della presente sentenza sia trasmessa al predetto Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria, affinché il nominato organo commissariale verifichi se, entro il sopra fissato termine di novanta giorni, il Comune di Reggio Calabria abbia – o meno – attivato il procedimento previsto dall’art. 42 bis e verifichi altresì se tale procedimento sia portato a compimento entro il termine di legge, con trasmissione degli atti alla Procura Regionale della Corte dei Conti nel caso in cui non sia intervenuta la conclusiva effusione provvedimentale.
Nel caso di inerzia del funzionario, il commissario ad acta, in via sostitutiva, eserciterà inoltre i poteri previsti dall’art. 42 bis, dandone notizia alla Procura della Corte dei Conti ed alla autorità giudiziaria.
7. Il parziale accoglimento del ricorso giustifica la compensazione delle spese di lite.
Le spese della C.T.U. saranno liquidate con separato provvedimento e sono poste a carico di entrambe parti, ciascuna per la metà.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria – Sezione Staccata di Reggio Calabria, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così dispone:
– accoglie il ricorso, nei limiti e nei termini di cui in motivazione, disponendo per l’effetto a carico del Comune di Reggio Calabria l’obbligo di porre in essere gli adempimenti indicati in motivazione nei termini ivi fissati;
– dispone, nel caso di protratta inerzia del Comune anzidetto alla scadenza dei termini di cui sopra, che a tanto provveda, nei termini e con le modalità in motivazione pure indicati, il Prefetto di Reggio Calabria, nella qualità di commissario ad acta;
– compensa le spese di giudizio tra le parti;
– pone le spese della C.T.U., nella misura in cui saranno liquidate con separato provvedimento, a carico di entrambe le parti, ciascuna per la metà.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 23 novembre 2016 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Politi, Presidente
Filippo Maria Tropiano, Referendario
Donatella Testini, Referendario, Estensore