La bioetica rappresenta una reazione, emotiva e razionale, al disagio avvertito nei confronti del progresso della biomedicina e della biotecnologia [1].
L’invasione, sempre più intima, nella sfera personale dell’essere umano crea negli studiosi che si affacciano alle problematiche ad essa annesse numerose difficoltà e incertezze. Quando si parla di bioetica si avverte l’esigenza di discuterne tenendo in considerazione una pluralità di discipline: dalla filosofia, dal diritto alla medicina ed alla biologia. Questo bisogno di un ampio bagaglio di conoscenze conduce inevitabilmente alla ricerca di un retroterra epistemologico della bioetica, di una serie di connotati che possano in qualche modo indirizzare gli studiosi nel momento in cui affrontano determinati temi. La scelta di una base sistematica su cui poggiare, smembrare e ricomporre risolvendoli i vari casi pratici è una condizione necessaria e non prorogabile, per questo è necessario delineare, prima di affrontare qualsiasi discorso, una scelta di metodo.
Guardando, volando alti, le epoche passate si possono scorgere i tratti più visibili delle culture che le hanno segnate:
I – nell’epoca premoderna l’etica e la teologia si fondono confondendosi: le norme morali sono rintracciabili nell’interpretazione della volontà di Dio;
II – nell’epoca moderna lo scopo affidato alla scienza fu quello di individuare con metodo scientifico le verità illuminate e incontrovertibili presenti in tutti i campi dello scibile e redigere dei codici di norme di condotta che fossero universalmente condivisibili perché fondate sulla ragione, vera luce dell’uomo;
III – oggi, la nostra società vive in un tempo d’integrazione culturale, in cui persone di diverse culture e religioni si incontrano e vivono l’uno accanto all’altro; in un momento della storia dell’umanità dove le nuove tecnologie della comunicazione, si pensi ad “Internet”, hanno reso nulla ogni distanza fisica e linguistica.
Quello che si avverte, da “uomo della strada”, è la difficoltà di rendere obiettivo quello che in realtà è fisiologicamente soggettivo e relativo: la morale e la sua rappresentazione tramite il linguaggio. Questa consapevolezza mette in luce la vanità di uno sforzo teso a riportare ad unità le varie “opzioni morali”.
Il politeismo etico, caratteristica di questa complessa società, è irrinunciabile perché ogni tentativo di riportare il “più” “all’uno” determinerebbe una scelta di sapore repressivo e autoritario.
Con queste premesse si può pienamente assaporare la qualifica con cui Engelhardt jr. definisce gli uomini di oggi:
<< stranieri morali >> [2].
L’incapacità di comunicare tra loro delle persone che parlano diversi linguaggi etici assume una dimensione drammatica se si pensa alla necessità sempre maggiore di vivere insieme, convivere e intrattenere relazioni sempre più rapide e complesse. Per questo Studioso l’unica cosa da fare in questa “Babele etica” è l’accordo teso a creare una struttura morale vincolante per questi “stranieri morali”.
In questa visione si inserisce il pensiero di un grande Studioso contemporaneo, prof. D’Agostino, che dopo avere puntualizzato alcune condizioni ignorate dal precedente Autore e tuttavia necessarie per renderne plausibile e risolutiva la proposta [3], arriva a dimostrare che: << nessuno è talmente straniero agli occhi di un altro da rendere di principio impensabile la possibilità di parlare con lui…Nessun valore etico – anche quello che ci appare meno condivisibile – è totalmente incomprensibile, cioè incomunicabile >> [4].
La bioetica deve utilizzare questa conclusione come base per elaborare un linguaggio comune da utilizzare per far comunicare quelli che nella realtà non sono “stranieri morali”.
Il politeismo etico, aggiunge il prof. D’Agostino, non deve essere assunto al rango di valore, perché questo modo di procedere toglie dignità alle singole visioni etiche tanto da ridurle ad un ruolo irrilevante per la creazione di un’etica della vita. Il linguaggio comune deve essere costruito con l’apporto di tutte le varie etiche e non sulla base di quella che di volta in volta è in possesso del singolo che ha il potere di decidere e d’agire. In questa visione i diritti umani appaiono come i valori, linguaggio, attraverso cui mediare un accordo tra le diverse etiche. Non si deve ricadere nell’ingenuità illuministica di pensare di creare un codice di valori da cui dedurre di volta in volta la soluzione per il caso concreto, ma il richiamo ai diritti umani deve essere considerato induttivamente partendo dall’individuazione dei valori degni di tutela presenti nel caso concreto che di volta in volta viene all’attenzione [5].
E’ l’unicità del singolo caso e del singolo individuo a determinare la continua e irripetibile ricerca delle modalità idonee a fare valere i diritti umani.
NOTE
[1] Prima di affrontare una ricerca su uno dei temi cruciali della bioetica si consiglia la lettura del Manifesto di bioetica laica pubblicato su “il Sole24ore” il 9 giugno del 1996 (gli estensori: FLAMIGNI, MASSARENTI, MORI, PETRONI). Dopo la pubblicazione del Manifesto seguirono sullo stesso giornale altre pubblicazioni sul medesimo tema, tra i tanti: VALERIO ZANONE, Religioni sì, fondamentalismo no, 16 giugno 1996; MARIO A.CATTANEO, Io, cattolico, credo che la morale è soltanto una , 16 giugno 1996; RAFFAELLA SIMILI, Ragione e biologia, 23 giugno 1996;CARLO AUGUSTO VIANO, Per favore, lasciate stare Galileo, 23 giugno 1996; EVANDRO AGAZZI, La natura non è <<sacra>>, 23 giugno 1996; EVANDRO AGAZZI, I <<come se>> dell’embrione, 30 giugno 1996; ARMANDO MASSARENTI, Contro la tirannia della scienza, 7 luglio 1996; FRANCESCO D’AGOSTINO, L’agire tecnico è da “risemantizzare”, 14 luglio 1996; GUIDO ALPA, Quanti statuti ha l’embrione ?, 14 luglio 1996.
[2] ENGELHARDT JR., Manuale di bioetica, trad.it., Milano, 1991.
[3] D’AGOSTINO, Bioetica, III ed. ampliata, Torino, 1998,10:<<…Engelhardt, nel momento in cui insiste con tanta forza sul tema dell’accordo, elabora … una versione moderna di una tesi antica e venerabile, quella che pone il dialogo a fondamento del vivere sociale…Infatti, l’accordo…non può evidentemente che essere il frutto di un dialogo…Ma il dialogo…è un’esperienza unicamente e profondamente umana: è possibile, cioè, solo tra persone, che si riconoscano vicendevolmente come persone. >>.
[4]D’AGOSTINO, Bioetica, op.cit., 11.
[5]D’AGOSTINO, Bioetica, op.cit., 12 ss: <<I valori bioetici sono inoggettivabili, perché nessun valore è oggettivabile. Un valore è inoggettivabile nel suo principio, proprio perché non è, ma vale.>>.