Nella nostra società, multietnica e multietica, non si riesce a rintracciare, a differenza del passato, una scacchiera di valori etici comuni su cui fare riferimento. Questo “comune sentire” ha avuto un ruolo fondamentale nel momento in cui la religione ha perso il ruolo principe di collante sociale e di simbolo stesso dell’appartenenza ad un corpo sociale ben radicato su determinato territorio. Questo minimo comune denominatore etico costituiva sicuramente una forte garanzia per il diritto positivo, estrinsecazione deontologica di verità ontologiche, perché prima ancora di essere secondo diritto il suo contenuto era secondo giustizia.
Si assiste così alla transazione/evoluzione ” …dalla comunità, cioè etimologicamente dal gruppo umano che ha qualcosa in comune, alla società, vale a dire al gruppo umano che in via contrattuale cerca di raggiungere e di porre, al di là delle differenze fra i singoli e fra gruppi qualcosa in comune”[1].
Se il diritto entrasse in crisi, la stessa possibilità di una convivenza pacifica entrerebbe in crisi[2]. Senza una serie di regole fisse nel tempo e valide per tutti non potrebbero nascere rapporti, se non quelli effimeri basati sulla contingente ed egoistica situazione casuale.
In questo panorama di visioni eterogenee il diritto quale ruolo ha ? Come può, il diritto, chiedere alla scienza di non fare tutto ciò che è in grado di fare se non ha cognizione di cosa dire?
L’unico punto certo è il ruolo che il diritto ha nella nostra società: garante della pacifica convivenza sociale.
Il diritto – nonostante le difficoltà quotidiane – non può e non deve rinunciare a disciplinare questioni che attengono alla sfera più intima e in alcuni casi più sofferente della persona. La “rinuncia” del diritto lascerebbe uno spazio di totale discrezionalità al medico, all’ingegnere… allo scienziato in un terreno in cui la vita e la dignità umana sono continuamente soggetti al pericolo, rischio, di ingiuste costrizioni ed offese[3].
[1] D’AGOSTINO, Bioetica, III ed. ampliata, Torino, 1998,15.
[2] Le ragioni di questa crisi epocale sono rintracciabili schematicamente in almeno tre fenomeni: la secolarizzazione che ha affievolito una cultura fortemente incarnata nel patrimonio morale di una religione; il forte fenomeno immigratorio, che porta con sé problemi sociali e giuridici di non facile soluzione (ad esempio lo scontro tra la cultura greco-romana e quella islamica); la rinascita, in periodo di necessaria globalizzazione culturale ed economica, di particolarismi nazionali e locali che portano allo scontro con le dinamiche opposte della biomedicina e della scienza in genere.
[3] MANTOVANI, Diritto penale e tecniche biomediche moderne, in L’indice penale, 1988, 35 ss.: “Il problema giuridico delle attività biomediche non è tanto un “problema di illiceità”. Sicché il compito del diritto non è quello, semplice, di “vietarle”, bensì quello più complesso di regolamentarle, fissandone i limiti e sanzionandone le violazioni”.